sabato 30 settembre 2023

Abbasso Trotski Nautico - La serata di gala della french touch impossibile

Trotski Nautique live @Tony Collectif, Parigi, 28/09/2023
 “Yaunebonneambiancemercilorganisationonadescdàvendreàuneuro”

Ricordo ancora il suono di questa frase al mezzogiorno di un torrido sabato di inizio luglio. In una piazzetta nel centro di Tournan-en-Brie, che è uno dei primissimi comuni dell’agglomerazione parigina ad avere più terre arabili che zone urbanizzate, sentire questo biascichio indistinto era come farsi martellare il ginocchio dal medico. Il riflesso, invece che quello di muovere la gamba, era quello di scoppiare a ridere, e non c’era nessuna maniera di evitarlo.

La frase in questione, se poi andiamo a desbiascicarla e a tradurla, vuol dire solo “C’è una bella atmosfera, ringraziamo l’organizzazione, abbiamo dei CD da vendere a 1€”, e fa ridere solo perché, durante un concerto medio di Trotski Nautique, viene pronunciata con lo stessa identica intonazione all’incirca una trentina di volte, che diventa facilmente una sessantina se decidono di suonare Y a une bonne ambiance d'ambiance (uno dei pochissimi casi di “auto-sampling” che mi vengono in mente nella storia della musica).

Che Trotski Nautique siano una band dall’umorismo tutto loro lo si capisce già dal nome, un gioco di parole improbabile che associa un famoso politico comunista e lo sci nautico (in italiano funzionerebbe con Gramsci Nautico, ma per qualche ragione fa meno ridere). Formati a Caen, Normandia, un numero inconoscibile di anni fa che ci porta al primo embrione del progetto negli anni 2000, Trotski Nautique si sviluppano nel tempo come un duo composto da Alda Lamieva e David Snug. I due smaneggioni tuttofare delizieranno per anni le profondità di Bandcamp con canzoni di pop lo-fi estremamente concise in cui le due voci, dalla complicità contagiosa (David più cazzaro, Alda più solenne), raccontano brevi spaccati di vita e riflessioni sagaci dalla sinteticità spiazzante (ma sul loro universo narrativo torneremo dopo).

Il duo normanno trapiantato-non-si-sa-bene-quando-come-né-perché-a-Parigi opera negli anni un progressivo allontanamento da una certa estetica cantautoriale, finché nel 2017/18 la chitarra finisce per scomparire e restano solo la drum machine e i sintetizzatori, in un minimalismo digitale leggero ma diretto e pieno di melodie memorabili. Unico elemento di rottura, un flauto dolce di bassa qualità, che farà ogni tanto la sua comparsa per le occasioni speciali. David Snug, che è anche un disegnatore talentuoso, gli ha dedicato un poster in cui campeggia in alto il titolo: “Extension du Domaine de la Flûte”. Lo conservo gelosamente accanto alla mia copia del romanzo di Houellebecq.

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A giugno di quest’anno è stato annunciato che Trotski Nautique avrebbero suonato alla Ferme Electrique, straordinario festival di musica elettrica (non elettronica, elettrica) che ha luogo ogni anno in una fattoria di Tournan-en-Brie. In questo comune di 8000 anime, prima fermata di una linea del treno regionale e ultima fermata di una linea del treno suburbano, c’è nata e cresciuta Sophie, la mia miglior amica francese. Con Sophie ci siamo conosciuti a Poitiers nel 2017 all’inizio dell’università, e abbiamo fatto tutti gli studi assieme condividendo viaggi, feste, drammi, momenti sì, momenti no e tanta tanta musica. Quando è cominciata la magistrale (nel 2020, stupendo periodo per essere studenti) io mi sono trasferito a Parigi e lei è tornata a Tournan, dove i suoi genitori hanno una casa con una vecchia dépendance. Questa casupola di una cinquantina di metri quadrati, che serviva a scopi agricoli in un’epoca lontana, è diventata in quel momento la casa di Sophie. 

Repressione coronavirussistica permettendo (c’è stato anche qualche sgamo), abbiamo vissuto per due anni un periodo magico nel quale andavo spesso a passare la serata del venerdì o del sabato a Tournan per poi tornare a Parigi il giorno dopo con mo(oooo)lta calma. La varietà delle serate era splendida e da una settimana all’altra potevi svariare dal festone danzereccio pieno di latinoamericani al cenino introspettivo in tête-à-tête, poi quando Sophie ha preso la patente abbiamo fatto anche un bel po’ di concerti (tutti eccezionali) nelle sale municipali di vari comuni della zona (io tornavo a casa brillo, Sophie con la voglia di mettersi a bere: combinazione vincente). Le mattine e spesso anche pomeriggi del giorno dopo avevano, al contrario, una bellissima costanza: dedicarsi alla cucina con serenità, parlare della nostra vita, ascoltare musica rilassante, fare quello che ci va di fare (un paio di volte ho pure visto la partita della Fiorentina) e alla fine l’immancabile passeggiata nei campi. In quei due anni ho imparato ad amare Tournan-en-Brie, con tutti i suoi aneddoti terrieri improbabili: eccole lì, disseminate per il comune, le fattorie della famiglia Rothschild, di cui uno dei membri è stato consigliere comunale per decadi; e là, in fondo in fondo, la magione del re del Marocco, ettari ed ettari recintati e sorvegliati alla perfezione; il casotto della federazione di caccia, invece, è nella parte più bella del bosco ma guai ad avvicinarsi troppo (una volta ci hanno accolti in modo poco amichevole)…

In un luogo così pieno di energia non poteva mancare un festival che l’energia (elettrica) l’ha proprio nei suoi statuti fondanti. La bellissima edizione 2019 me la sono persa per andare a trovare la “zouz” (in italiano, “squinzia”) nel Sud-Ovest e Sophie scherza spesso dicendomi che non me lo perdonerà mai. Poi nel 2022, dopo due anni di stop forzato, questa rassegna spettacolare è tornata, riunendo artisti francesi dal potenziale internazionale (gli alfieri del garage rock borgognone Johnny Mafia, o ancora le eccezionali riot grrrls Mary Bell) e gruppi francesi che all’estero una reputazione se la sono già ritagliata (gli You Said Strange che col loro post-punk etereo sono ormai beniamini di KEXP, o i MadMadMad che col loro krautrock sfrenato quest’estate hanno animato un Paredes de Coura esagerato). Se l’anno scorso la proposta straniera era un pelino scarna (spiccavano giusto i Crows che non mi innamorano e hanno pure cancellato per covid), quest’anno la Ferme ci ha portato A Place To Bury Strangers, una chiamata a dir poco pazzesca. La sera del venerdì 7 luglio 2023 il concerto dell’autoproclamatasi “loudest band in the world” (confermo) ha fatto quasi crollare il fienile. Dopo la scarica di frequenze illegali degli APTBS, in retrospettiva, ci è sembrato leggero e spensierato pure il violento concerto noise-rock degli istrionici Marcel (i belgi sono comunque stati la perla del talent-scouting dell’edizione).

Dopo essere stati ubriacati di feedback tutta la sera, il giorno dopo ci siamo svegliati rintronati come poche volte nella nostra vita. Con le orecchie ovattate e le tempie pulsanti, i miei amici non si sentivano tanto carichi per il consueto concerto del sabato a mezzogiorno sul dehors del bar-ristorante La Croix-Blanche. Ovviamente, andarci è comunque d’obbligo: l’atmosfera afosa di sbornia collettiva è iconica (c’è sempre almeno un punk che si immerge interamente nella fontana della piazza), e ordinare un pastis per colazione prima di andare a pranzare e fare la siesta è il modo migliore per essere di nuovo freschi e pronti a ballare per le 18. Va detto che, però, la musica non è per forza sempre in primo piano. Io, in compenso, ero l’unico che aveva studiato bene il gruppo che suonava quell’anno alle 12, e sapevo che eravamo tutti “in for a treat”.

Trotski Nautique quel giorno ci hanno regalato, con i loro strumenti minimali, un momento di ilarità generale che resterà per anni nei nostri personali annali degli istanti gioiosi. Per un’ora e mezza circa abbiamo bevuto, riso, riflettuto, cantato e sognato con una tale spensieratezza che ci siamo persino dimenticati della lieve perdita dell’udito subìta giusto una dozzina di ore prima.

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Quando ho scoperto che Trotski Nautique suonavano a Parigi il giovedì sera ho saltato di gioia e ho bloccato la serata. Arrivo presto alla Rue des Petites Ecuries, quest’angolo della Parigi da bere a basso prezzo, e divoro coi miei compari una deliziosa piadina con agnello grigliato dai kurdi di Urfa Durum (mi diverto anche a raccontare di come al liceo a Firenze ci fosse gente che metteva la maglietta del PKK come se fosse quella dei Ramones). Per le 21 entriamo al Tony Collectif, la “venue” della serata, anzi, del “galà” secondo le parole di Trotski Nautique. L’atmosfera è da “dive bar” al cubo: stretto stretto, pieno zeppo di gente, muri in lamiera e si scorge il palco dietro a una tenda rossa e a un omino che riscuote l’offerta libera.

Qua bisogna già fare un inciso: il fatto che la serata sia a offerta libera è una cosa esageratamente ironica. Nemmeno sei giorni prima Trotski Nautique hanno fatto uscire la loro ultima fatica: Le Meilleur de à Bas. Il titolo si legge come “Le Meilleur de Abba”, e in copertina c’è un’illustrazione di David Snug che raffigura il quartetto svedese in una posa da Greatest Hits completamente “cursata”. I titoli delle canzoni cominciano tutti con l’espressione “à bas”, “abbasso”, seguite dall’oggetto dello scorno in questione. Il singolo che annuncia l’album è A Bas le Prix Libre, in cui se la prendono con l’offerta libera vista come simbolo delle perversioni del mercato libero nella società delle diseguaglianze. Allungo i miei pochi euro di ingresso con un sorriso sornione all’omino della tenda rossa, che mi guarda male e bofonchia qualcosa. Gli rispondo che questi pochi euro sarebbero già il prezzo di diversi (pochi) CD.

Trotski Nautique, fino a qualche minuto fa al bancone del bar, montano sul palco e, mentre una registrazione di “Y a une Bonne Ambiance” scalda il pubblico, sistemano il materiale. Alda Lamieva osserva la sua tastierina di cui spesse volte nelle canzoni vanta il prezzo competitivo. David Snug, dal canto suo, comincia a studiare un raccoglitore di pagine plastificate senza capo né coda mentre programma la drum machine e verifica che il suo tablet proietti bene le immagini sul telo. Per la prima volta vedo le visual del gruppo: da un’applicazione creata ad hoc, il cantante può cliccare su un numero associato a un personaggio (disegnato dallo stesso Snug), il che attiva un metronomo e poi il videoclip coordinato alla musica. L’applicazione si chiama “Trotskinoscope”, una rielaborazione del “trombinoscope”, registro di classe della scuola francese, in cui accanto a ogni nome c’è la fototessera dello studente. Quando Trotski Nautique cominciano a suonare non ce n’è più per nessuno, e veniamo travolti da un fiume in piena di musica strabiliante e di trovate esilaranti che coprono tutto lo spettro dell’ironia.

Cercare di ricoprire tutto in qualche paragrafo, oltre che materialmente impossibile, sarebbe sbagliato perché questo gruppo merita di essere visto dal vivo senza troppi spoiler. So che, scrivendo in italiano, mi rivolgo a un pubblico che non per forza parla il francese, ed è anche qui che vi invito ad ascoltare Trotski Nautique perché, con la loro dizione perfetta e un uso delle espressioni gergali (l’”argot”) sensato ma non troppo spinto, sono il gruppo perfetto per imparare la lingua. In ogni caso, qualche gag memorabile merita di essere menzionata, e visto che lo stile musicale del gruppo è così asciutto, mi sono detto che potrei farlo tramite la più asciutta delle figure retoriche, una buona vecchia enumerazione. Cominciamo:

  • Le battute sui “provinciaux”, termine che designa la gente che non vive a Parigi. Nessuno ha più il coraggio di usare questa parola e c’è chi la trova offensiva, io la trovo divertentissima. Ogni tanto a Trotski Nautique capita di suonare per i provinciaux “ma siccome non hanno un livello culturale molto alto (la sera si ubriacano e basta) non gliene frega nulla dei testi, vogliono solo il kick”, anzi il Gros Kick;
  • Di riflesso, i racconti della gioventù in provincia: i rave party nei campi in cui ai conigli (i Lapins Magiques) capitava di sgranocchiare resti di LSD, o ancora Amortisseurs, “canzone sulle automobili che in realtà è sulla vita”, suonata mentre è proiettato un video di due persone non identificabili che sgommano con una Renault 106 in un campo (secondo il loro racconto poco credibile sarebbe David Snug da giovane insieme a Orelsan, rapper riempi-stadi anche lui di Caen);
  • Urlare: “Solo!” prima di ogni assolo;
  • La gente del pubblico che urla “A bas!” contro quello che ha deciso di osteggiare in quel momento;
  • Qualcuno dal pubblico ha avuto la malaugurata idea di dire “french touch” e allora lì parte la bambola. David Snug dirà “siamo un gruppo french touch” circa quindici volte (a Tournan aveva eseguito la stessa battuta sbiascicando “Aplacetoburystrangers” in continuazione);
  • Prima di suonare Déterminisme Social, inquietante canzone house music sul futuro già segnato dei figli di operai, Trotski Nautique raccontano di come hanno imparato a “programmare la drum machine come i Daft Punk grazie a un tutorial Youtube… In realtà basta mettere un hi-hat tra kick e snare”;
  • Yaunebonneambiancemercilorganisation…
  • L’aneddoto intramontabile di quando hanno provato a fare “la scuola per diventare rockstar a Manchester” ma il vicino di sopra li deconcentrava: era Peter Hook che faceva casino, e da lì nasce New Ordure, con l’intro di Blue Monday (“Non ho nemmeno imparato una parola di inglese: How does it feel, to wiwi nununuuu”);
  • Sample di vecchi discorsi di dirigenti del Partito Socialista Francese che fomentano alcuni rari eletti nella sala;
  • Le cover, ovviamente in lingua francese: Appel de Nuit di Kavinsky ("french touch") è toccante ma Ça Sent le Mennen dei Nirvana, con un raro volo pindarico di flauto stonato, ha una solennità “dank” inarrivabile, specie perché in sottofondo sfilano immagini dei Guns ‘n’ Roses (“Vi piace l’hard rock, no?” “A bas!”);
  • Costanti riferimenti all’essere disoccupati e vivere di sussidi: “Questa è una canzone sul sabato sera… Ma oggi non è sabato sera… Cos’è, venerdì? Ah, no giovedì! A noi disoccupati non serve saperlo, visto?”;
  • Di riflesso,  vantarsi di avere strumenti poco costosi e insultare i puristi che si comprano un Moog invece di scaricarsi il VST (quella Bourgeoisie Analogique di cui fanno parte, pensa un po’, anche i Daft Punk da Versailles);
  • Annunciare con un anticipo esagerato la fine del concerto: “Grazie a tutti, abbiamo ancora nove canzoni”;
  • Una caterva di giochi di parole intraducibili, di cui il mio preferito è in A Bas l’Humanité (la prima versione del 2019): “È stato decretato che d’ora in avanti chi usa l’espressione ‘pratico-pratique’ sarà condannato a chiamarsi ‘Patrico-Patrick’”. Potrei dire che è una battuta “franco-francese” ma poi sarei obbligato a chiamarmi “Franco-Francesco”;
  • Una chiusura potentissima a base di cinema anni ’80: prima Marty McFly che, grazie all’esistenza della morale cristiana, non si fotte sua madre e con lei lo spazio-tempo, poi la chiusa su Terminator is Bacque, una hit ormai decennale ornata di un assolo doloroso di drum-machine “schitarrata” e flauto acuto.

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Insomma, che il concerto di Trotski Nautique faccia tanto, tanto ridere l’avete sicuramente capito. Dietro a tutta quest’irriverenza, però, si celano spesso e volentieri dei messaggi politici profondi (a volte no, a volte sono solo battute, ed è anche questo il bello). Il duo di trapiantati dalla provincia normanna a Parigi ha una forte indole politica, ed il suo programma è quello di esprimere questa indole senza mai prendersi sul serio. A un certo punto, dopo aver suonato L’Insurrection qui Vient Pas, canzone sui giovani di sinistra dalle velleità rivoluzionarie che alla fine si ritirano a una vita suburbana banale, diranno pure “Questa era una canzone politica” con un sorrisetto malizioso.

Trotski Nautique non sono solamente lucidi nel puntare il dito su tematiche sociali spesso ignorate, ma sono anche bravi a non mostrare platealmente che lo stanno facendo. Sono numerosi gli sketch sulla gente di provincia, che si isola nel suo piccolo benessere una volta comprata una casa e una macchina (commovente la ballata anti-automobilistica Petit Animal, che commemora una bestiola irriconoscibile schiacciata sull’asfalto). Ascoltandoli, e ridendone, non posso non vederci un’onesta descrizione di quell’individualismo che dilaga nelle zone di Francia più remote (lavorando nel settore delle pale eoliche, purtroppo, lo constato ogni giorno). La rivendicazione di usare Audacity e i VST craccati cela dal canto suo una triste constatazione sulle diseguaglianze che permeano il campo della musica, e propongono strumenti per rovesciare la dominazione, come per esempio i software open source. E poi, ovviamente, il fregio costante dell’essere disoccupati per scelta porta in sé una critica del lavoro decisamente sovversiva.

Nella mia adolescenza ho visto suonare, mio malgrado, molte band politiche. In comune avevano tutte due cose: parlare in continuazione di cose che non conoscono e non proporre mai una riflessione, ma semplicemente una visione propinata come quella giusta. Trotski Nautique non raccontano del diritto all’autodeterminazione di popoli lontani, ma dell’alienazione che regna nei territori in cui sono cresciuti; e non diranno mai esplicitamente e pedissequamente, nelle loro canzoni, che il sistema è malato (il sistema, ad esempio, del credito immobiliare, della concentrazione del consumo su grandi zone commerciali, della dipendenza dall’automobile…). In compenso, continueranno a chiamare i provinciali “provinciali”, sottintendendo anche la cruda verità che in molti la scelgono, la vita che fanno. Questo è solo un esempio (che mi parla da vicino) delle riflessioni profonde che traggo dalla pur divertentissima musica di Trotski Nautique. E giovedì sera, al Tony Collectif, mi stupisco ancora una volta di quanto del semplice ed esilarante “stage banter” possa aggiungere ancora più livelli di interpretazione alle canzoni fintamente non politiche del gruppo.

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Dopo il concerto vado a scambiare due parole con loro. David Snug, che è un mattatore sul palco, è diventato decisamente più schivo mentre Alda Lamieva, che durante lo show sembra l’unica voce della ragione capace di riportare il suo collega a una parvenza di serietà, è al contrario molto espansiva e chiacchiera con più persone alla volta. Lei mi parla in un italiano perfetto, mi racconta di aver vissuto a Cagliari e a Trieste e fa un gran sorriso quando le dico che voglio scrivere di loro su un blog in lingua italiana. Lui, quando gli dico che voglio comprare il suo fumetto, mi dice: “No lascia stare è troppo caro”, poi si intasca i miei 15€ mugugnando un “Merci” quasi imbarazzato con gli occhi bassi.

Il fumetto si chiama Dépôt de Bilan de Compétences e parla delle disavventure dell’autore nel mondo del lavoro, che l’ha sfruttato e reso infelice per una buona ventina d’anni. I disegni catturano l’occhio e stupiscono costantemente; l’umorismo è di un livello altissimo, tra colpi di spirito inusitati e gag ricorrenti brillanti (i datori di lavoro che ripetono in continuazione “Chi ti ha detto di metterti a sedere?”); il messaggio di fondo, rafforzato da un breve trattato sulla costruzione sociale e ideologica dell’impiego salariato, fa riflettere. Ritrovo su carta la qualità elevatissima e umile di quello che ho visto e sentito al concerto di Trotski Nautique.

La linea 4 della metro oggi è guasta e quindi prendo l’autobus. Ci mette molto più del previsto ad arrivare e ci vuole un’ora abbondante per fare un tragitto che di solito si farebbe in mezz’ora. Ma non me ne curo: mi divoro tutto il fumetto di David Snug alla fermata, poi sull’autobus e poi a casa. È ora di andare a letto ma sono un po’ su di giri: tutte le melodie, i disegni, le battute, le parole, mi hanno messo addosso un’euforia ancora più forte di quella di quest’estate a Tournan-en-Brie.

Alla fine mi addormento e il venerdì mattina, quando suona la sveglia, ho molta meno voglia di lavorare del solito.

martedì 26 settembre 2023

Introduzione - Gli Stereo Total, o la spensieratezza dei trapianti europei

Ho passato la settimana scorsa sballottolato da tutte le parti di Francia. Dal mio quartier generale, a Parigi e dintorni Nord-Ovest, sono finito a guidare la macchina nella periferia di Montpellier dopo ore insopportabili di treno Ouigo (che sarebbe il low-cost). In questa operosa parte di mondo, dentro a un edificio cubico in zona industriale, partivano ad ogni momento telefonate e mail verso i comuni rurali più isolati del paese. Al tramonto, guidando tra capannoni e terreni vuoti pieni di erba secca, è partita Jumpin’ Jack Flash dei Rolling Stones su FIP (la fu France Inter Paris). Coi finestrini abbassati e la sigaretta in bocca, mi sono sentito come a Los Angeles.

Il mare non l’ho nemmeno visto: il mercoledì ero di nuovo su un treno per Tolosa. Dal finestrino vedevo vigne (di Cahors forse?) e cittadine fortificate. Béziers sembrava bellissima, una versione ocra di Albi. Il mio collega sudista mi ha detto che a Béziers non bisogna proprio andarci. I sudisti sanno essere davvero laconici in questo paese. Il Sud-Ovest in compenso è più accogliente del Sud “e basta”, e la serata a bere pastis e farmi trattare da parigino, con tutti gli insulti bonari del caso, mi rinfranca. Il cielo delle 7:40 del mattino, dietro ai muri di mattoni, mi ricorda perché la chiamano “la ville rose”.

Ovviamente, a Tolosa si parla di aeronautica tutto il giorno, perché gli stereotipi in questa città sono sempre veri. La sera del giovedì il mio secondo Ouigo attraversa città che non ho mai visitato: Montauban, Agen, Bordeaux, Angoulême. E dire che ho vissuto per due anni a due passi da qui, a Poitiers. Sono arrivato alla stazione di Montparnasse stremato: 4 ore e 40 di treno senza vendita di cibo e bevande a bordo, ma sono riuscito a sopportare la situazione con quell’abnegazione strafottente che è sport nazionale. A quell’ora è aperto solo McDonald’s e perciò ordino non una ma due bibite e le bevo sotto gli occhi indifferenti di una fauna variegata di adolescenti e tifosi di rugby. 

Il venerdì sera, dopo aver raccolto i frutti del mio lavoro e aver passato la giornata a fissare appuntamenti in Champagne, Franca Contea, Picardia e Lorena per le settimane prossime, la fatica si fa sentire. Nel mio appartamento ad Asnières-sur-Seine, che non è veramente banlieue perché ci arriva la metro (quindi è Parigi), questo venerdì sera alle 23 si dorme.

A quel punto mi metto a fare un bilancio della mia settimana, un po’ estrema a posteriori. Mi rinfranca pensare alla prossima, più leggera. E poi una rivelazione: per tutta la settimana non mi sono mai sentito uno straniero. E penso alla parola “trapiantato”, che tutto sommato mi si addice bene. 

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Nel disco che preannuncia l’esplosione dei Parquet Courts, Human Performance, c’è uno dei miei versi preferiti di sempre:

“Feels so effortless to be a stranger, but feeling foreign’s such a lonely habit” (Berlin Got Blurry)

Mi sono sentito così innumerevoli volte e oramai, persa questa sensazione, non so più come sentirmi nella mia vita francese, quotidiana e non. Non essere uno “stranger” richiede qualche piccolo sforzo: anche nella grande indifferenza metropolitana parigina non posso più permettermi di essere un oggetto senza meta. Devo sbattermi per trovarmi le mie nicchie, gli angoli di benessere che mi si addicono e che mi fanno fiorire, altrimenti andrei alla deriva e scomparirei in una tristezza costante (ci sono già andato vicino). Al contempo sentirsi come un organo trapiantato con successo dentro al corpo di un estraneo è una sensazione spiazzante. Ovviamente sapremo sempre, sia io che il corpo che mi accoglie, di non essere nati insieme. Nessuno dei due, però, proverà mai un rigetto, ed è questa la consapevolezza di non sentirmi più “foreign”. 

(In barba a quelli che dicono che l’inglese è semplicistico, nella lingua di Dante le due parole si traducono bene solo in “straniero”.)

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In questi ultimi tempi, marcati da questa nuova coscienza sulla mia identità di straniero non più straniero, ho ascoltato gli Stereo Total ogni giorno, e quando ho deciso di aprire un blog mi sono detto che non potevo non omaggiarli. Ho deciso di aggiungere giusto la “e” finale per italianizzare il tutto (e il logo che ho fatto su Powerpoint ha quel retrogusto “dank”).

Per chi non li conoscesse, gli Stereo Total sono nati a Berlino a inizio anni ’90 (nella biografia del loro sito dicono che era il ’93, e qualche paragrafo dopo che era il ’92). La forza motrice di questo gruppo è una trapiantata anche lei: Françoise Cactus, la cantante francese che fonda la band insieme al dadaista tedesco Brezel Göring. Oltre a portare dei nomi d’arte di tutto rispetto, i due pubblicheranno insieme per più di 25 anni una discreta quantità di dischi. Il materiale è variegato e non sempre valido ad essere onesti, un mischione eclettico e svergognatamente low-budget di synth-pop kraftwerkiano e revival punk-rock ramonesco, costellato di citazionismo allo yé-yé francese e alle declinazioni internazionali più esotiche della new-wave (gruppi come i giapponesi Plastics o le svizzere Kleenex). La musica degli Stereo Total è il loro ethos e viceversa. Qualsiasi canzone che se ne ascolti è una celebrazione della cultura della ribellione adolescenziale e allo stesso tempo il loro multilinguismo (e scambismo linguistico, visto che Brezel canterà spesso in francese e Cactus in tedesco) ostenta la ricchezza delle connessioni europee.

Un piccolo appunto: ho realizzato abbastanza di recente quanto è importante nella mia storia il fatto di essere figlio di genitori che si sono conosciuti grazie all'Erasmus. Secondo la Commissione Europea dovremmo essere più di un milione e io sono sicuramente della prima generazione, visto che mio padre ha aderito al primissimo anno del programma nell’87, e mia madre nell’88 (nessuno dei miei genitori è francese, ma mio padre quell’anno posò già una prima impronta sulla città di Parigi). Evidentemente, le connessioni europee le ho nel DNA.

Di recente noto in me un pattern particolare: dopo anni passati a detestare la maggior parte della musica cantata in lingua francese ho cominciato ad avere delle fissazioni con artisti dai percorsi transnazionali variegati, tipo Lio che è nata in Portogallo, cresciuta in Belgio ed esplosa in Francia. Non mi soffermerò sulla mia formazione musicale ma vi assicuro che non ha nessun senso che io sia ossessionato da Lio. 

Per tornare agli Stereo Total e restare sulla tematica della connessioni europee, il disco che mi sento in dovere di consigliarvi è per forza Paris<>Berlin del 2007. La maturità di metà carriera lo rende un album sorprendentemente coeso, e chiaro fin dal titolo nella sua dichiarazione di intenti. Come spesso accade nel loro repertorio, ci sono tantissime canzoni sul sesso, tema trasversale per eccellenza ma che presenta anche lui le sue piccole variazioni internazionali: le suggestioni post-sessantottine della francesissima Miss Rébellion des Hormones; le avventure dello Stricherjunge, ovvero il ragazzo prostituta, che hanno un retrogusto di leggende urbane del blocco Est; le scene paranormali e perturbanti di una Lolita Fantôme che infesta i sogni degli uomini soli con le sembianze di Brigitte Bardot; i sentimenti complessati di una libido mogia raccontati in modo così tedesco in Komplex mit dem Sex. Il microcosmo Stereo Total va anche oltre: ci sono canzoni dal retrogusto marxista come l’omaggio a Patty Hearst, l’attrice americana che dopo essere stata rapita da un gruppo di estrema sinistra aveva imbracciato lei stessa il fucile, ma c’è spazio anche per riferimenti alla cultura di massa, rappresentata da feticci-sfottò come il chewing-gum e la chirurgia plastica o da oggetti di culto da omaggiare come Gainsbourg o le nostre personali hall of fame musicali (anche se der Hölle der Musik in realtà sarebbe “l’inferno della musica”, ma si sa che le vere rockstar non vanno in paradiso).

Il ritornello della closing track (cantata in quattro lingue, compreso l'italiano!) me lo prendo in prestito per rispondere a una domanda che non ho ancora risolto: che musica mi piace e di che musica voglio parlare dentro a questo blog?

Das ist Funk, das ist Rock'n'roll, das ist moderne Musik
Das ist Punk, das ist Rock'n'roll, das ist moderne Musik“ (Moderne Musik)

Perché tutto in Paris<>Berlin urla avanguardia: non è importante il genere, è importante la modernità. Ma è anche quell’avanguardia che fa la rivoluzionaria un po’ per finta, un po’ per ridere, un po’ come quella della mia adolescenza borghese passata ogni sabato sera in uno squat diverso. Alla fine tanto le pose radicali quanto la destrezza nello spaziare tra le lingue e fare riferimenti esoterici alla cultura dei paesi che abbiamo interiorizzato sono semplicemente cose che, evidentemente, alla Cactus e a Brezel fanno sentire liberi, divertire, stare bene. Ed è così che decido di accogliere anch'io la mia nuova identità di trapiantato. 

La musica degli Stereo Total, lo dice anche Scaruffi,  nella sua essenza è party music (infatti dopo Paris<>Berlin vi invito a fiondarvi sulle compile). Il Pierone nazionale lascia questa affermazione nell'etere sottintendendo che il termine "party" sia offensivo ("[they are] merely a party band"), ma si sbaglia. Non lo è, anzi, è nobilitante: essere un trapiantato realizzato e prosperare nella leggerezza di scambi culturali costanti e ormai non più ostici a volte è proprio una grande festa. È questa festa che vorrei provare a trasmettervi nella mia corrispondenza dall'estero sul blog di Stereo TotalE. E quella famosa frase dei Parquet Courts potrebbe riproporsi così:

“Feels so effortless to be transplanted, that feeling foreign’s such a funny habit” (Paris Got Blurry???)

***

In Dude Yr So Crazy!!, Le Tigre prendevano in giro un fantomatico interlocutore hipster che smucinava espressioni da persona che “ne sa”, in uno dei testi più irriverenti degli anni ’90 (amo il self-titled di Le Tigre):

“So defeated, Thinks it's funny, Film Festival, Retro porn
Shabby Chic, Bicoastal, Soundtrack, Carnivore
Transgressive, Gone fishin', Shock value, Good contract
Big collection, Independent, Devil's advocate, Protegé

Hawaiian shirt, Buddy buddy, Just chillin', Crystal meth
Big budget, Dirty hair, Anti-PC, Dive bar
Universal, Hilton safari, Euro connection […]”

Qui di solito interrompo bruscamente il disco.

Cara Kathleen Hanna, a sto giro purtroppo hai toppato: io “euro connection” lo dico e me lo rivendico. Se proprio non ti piace andrò a dire a giro che la punk femminista più famosa di sempre ha insultato la mia identità. Magari qualcuno potrebbe addirittura pensare che è “basato”.

domenica 24 settembre 2023

Pre-proposito

 
C’è una parola francese che mi piace molto per dire prefazione, premessa, introduzione et similia: “avant-propos”. Mi piace proprio perché si distingue dalle sue controparti italiane per la sua freddezza e formalità. La parola “propos”, proposito, è completamente scevra di intenzione e di slancio: un propos è qualcosa che si dice, e basta. E un avant-propos è qualcosa che si dice “prima”. Il mio avant-propos di oggi non si vuole un’introduzione, quella la avrete più in là e sarà anche una discreta pappardella al sugo. Oggi accontentativi di un asciuttissimo pre-proposito, che si legge più in fretta.

Uno: chi cosa dove come perché.

Mi chiamo Reric (non all’anagrafe), sono italiano e vivo da tanti anni in Francia. Ho un amore viscerale per la musica, ma non è il mio impiego a tempo pieno. Meglio così, perché non ho un talento capace di cambiare il mondo e nelle mie mansioni quotidiane preferisco occuparmi umilmente di pale eoliche. Il mio tempo libero in compenso lo spendo perlopiù ad ascoltare musica, parlarne e, visto che non mi bastava, adesso anche scriverne. L’idea di lanciare un blog nasce da una voglia di condividere tutte le esperienze che posso vivere nelle mie serate a stretto contatto con la musica. Inoltre, fin da quando guardavo il telegiornale da bambino ho sempre trovato un certo romanticismo nella figura del corrispondente dall’estero.

Due: il blog. Cosa trovarci, e a chi può interessare.

“Stereo Totale” è un blog in cui si parla principalmente di musica e marginalmente di vita vissuta, è inevitabile visto che le due sono codipendenti. Che genere di musica? Quella è già una questione per un’introduzione con tutti i crismi, un pre-proposito si limiterebbe a dire “un po’ di tutto” (che oggigiorno vuol dire “perlopiù rock”). Scriverò moltissimo di concerti, che sono la mia passione principale. Le recensioni delle ultime uscite, a meno che non mi riguardino da vicino, le lascio a siti di critica più rodati.

Ovviamente, vivendo in Francia, mi concentrerò molto sulle perle nascoste che mi può capitare di vedere dal vivo a Parigi e dintorni. Siete perciò nel posto giusto se vi interessa l’underground francese e/o del vicino Benelux (alcuni geografi indicano Parigi come la punta occidentale della fantomatica “banana blu”). Ovviamente non mi limiterò a questo e ogni scriverò anche di argomenti che esulano dalla mia localizzazione.

Il pre-proposito è finito e potete andare in pace. Le pappardelle d’introduzione non tarderanno ad arrivare.