Trotski Nautique live @Tony Collectif, Parigi, 28/09/2023 |
Ricordo ancora il
suono di questa frase al mezzogiorno di un torrido sabato di inizio luglio. In
una piazzetta nel centro di Tournan-en-Brie, che è uno dei primissimi comuni
dell’agglomerazione parigina ad avere più terre arabili che zone urbanizzate, sentire
questo biascichio indistinto era come farsi martellare il ginocchio dal medico.
Il riflesso, invece che quello di muovere la gamba, era quello di scoppiare a
ridere, e non c’era nessuna maniera di evitarlo.
La frase in
questione, se poi andiamo a desbiascicarla e a tradurla, vuol dire solo “C’è
una bella atmosfera, ringraziamo l’organizzazione, abbiamo dei CD da vendere a
1€”, e fa ridere solo perché, durante un concerto medio di Trotski Nautique,
viene pronunciata con lo stessa identica intonazione all’incirca una trentina
di volte, che diventa facilmente una sessantina se decidono di suonare Y a
une bonne ambiance d'ambiance (uno dei pochissimi casi di “auto-sampling”
che mi vengono in mente nella storia della musica).
Che Trotski
Nautique siano una band dall’umorismo tutto loro lo si capisce già dal nome, un
gioco di parole improbabile che associa un famoso politico comunista e lo sci
nautico (in italiano funzionerebbe con Gramsci Nautico, ma per qualche ragione fa
meno ridere). Formati a Caen, Normandia, un numero inconoscibile di anni fa che
ci porta al primo embrione del progetto negli anni 2000, Trotski Nautique si
sviluppano nel tempo come un duo composto da Alda Lamieva e David Snug. I due smaneggioni
tuttofare delizieranno per anni le profondità di Bandcamp con canzoni di
pop lo-fi estremamente concise in cui le due voci, dalla complicità contagiosa
(David più cazzaro, Alda più solenne), raccontano brevi spaccati di vita e
riflessioni sagaci dalla sinteticità spiazzante (ma sul loro universo narrativo
torneremo dopo).
Il duo normanno trapiantato-non-si-sa-bene-quando-come-né-perché-a-Parigi
opera negli anni un progressivo allontanamento da una certa estetica
cantautoriale, finché nel 2017/18 la chitarra finisce per scomparire e restano
solo la drum machine e i sintetizzatori, in un minimalismo digitale leggero ma
diretto e pieno di melodie memorabili. Unico elemento di rottura, un flauto
dolce di bassa qualità, che farà ogni tanto la sua comparsa per le occasioni
speciali. David Snug, che è anche un disegnatore talentuoso, gli ha dedicato un
poster in cui campeggia in alto il titolo: “Extension du Domaine de la Flûte”.
Lo conservo gelosamente accanto alla mia copia del romanzo di Houellebecq.
***
A giugno di quest’anno è stato annunciato che Trotski Nautique avrebbero suonato alla Ferme Electrique, straordinario festival di musica elettrica (non elettronica, elettrica) che ha luogo ogni anno in una fattoria di Tournan-en-Brie. In questo comune di 8000 anime, prima fermata di una linea del treno regionale e ultima fermata di una linea del treno suburbano, c’è nata e cresciuta Sophie, la mia miglior amica francese. Con Sophie ci siamo conosciuti a Poitiers nel 2017 all’inizio dell’università, e abbiamo fatto tutti gli studi assieme condividendo viaggi, feste, drammi, momenti sì, momenti no e tanta tanta musica. Quando è cominciata la magistrale (nel 2020, stupendo periodo per essere studenti) io mi sono trasferito a Parigi e lei è tornata a Tournan, dove i suoi genitori hanno una casa con una vecchia dépendance. Questa casupola di una cinquantina di metri quadrati, che serviva a scopi agricoli in un’epoca lontana, è diventata in quel momento la casa di Sophie.
Repressione coronavirussistica permettendo (c’è
stato anche qualche sgamo), abbiamo vissuto per due anni un periodo magico nel
quale andavo spesso a passare la serata del venerdì o del sabato a Tournan per
poi tornare a Parigi il giorno dopo con mo(oooo)lta calma. La varietà delle
serate era splendida e da una settimana all’altra potevi svariare dal festone danzereccio
pieno di latinoamericani al cenino introspettivo in tête-à-tête, poi quando
Sophie ha preso la patente abbiamo fatto anche un bel po’ di concerti (tutti eccezionali)
nelle sale municipali di vari comuni della zona (io tornavo a casa brillo,
Sophie con la voglia di mettersi a bere: combinazione vincente). Le mattine e
spesso anche pomeriggi del giorno dopo avevano, al contrario, una bellissima costanza: dedicarsi alla cucina
con serenità, parlare della nostra vita, ascoltare musica rilassante, fare
quello che ci va di fare (un paio di volte ho pure visto la partita della
Fiorentina) e alla fine l’immancabile passeggiata nei campi. In quei due anni
ho imparato ad amare Tournan-en-Brie, con tutti i suoi aneddoti terrieri
improbabili: eccole lì, disseminate per il comune, le fattorie della famiglia
Rothschild, di cui uno dei membri è stato consigliere comunale per decadi; e
là, in fondo in fondo, la magione del re del Marocco, ettari ed ettari recintati
e sorvegliati alla perfezione; il casotto della federazione di caccia, invece,
è nella parte più bella del bosco ma guai ad avvicinarsi troppo (una volta ci
hanno accolti in modo poco amichevole)…
In un luogo così
pieno di energia non poteva mancare un festival che l’energia (elettrica) l’ha
proprio nei suoi statuti fondanti. La bellissima edizione 2019 me la sono persa
per andare a trovare la “zouz” (in italiano, “squinzia”) nel Sud-Ovest e Sophie
scherza spesso dicendomi che non me lo perdonerà mai. Poi nel 2022, dopo due
anni di stop forzato, questa rassegna spettacolare è tornata, riunendo artisti
francesi dal potenziale internazionale (gli alfieri del garage rock borgognone
Johnny Mafia, o ancora le eccezionali riot grrrls Mary Bell) e gruppi francesi
che all’estero una reputazione se la sono già ritagliata (gli You Said Strange
che col loro post-punk etereo sono ormai beniamini di KEXP, o i MadMadMad che col
loro krautrock sfrenato quest’estate hanno animato un Paredes de Coura esagerato).
Se l’anno scorso la proposta straniera era un pelino scarna (spiccavano giusto
i Crows che non mi innamorano e hanno pure cancellato per covid), quest’anno la
Ferme ci ha portato A Place To Bury Strangers, una chiamata a dir poco
pazzesca. La sera del venerdì 7 luglio 2023 il concerto dell’autoproclamatasi
“loudest band in the world” (confermo) ha fatto quasi crollare il fienile. Dopo
la scarica di frequenze illegali degli APTBS, in retrospettiva, ci è sembrato leggero
e spensierato pure il violento concerto noise-rock degli istrionici Marcel (i
belgi sono comunque stati la perla del talent-scouting
dell’edizione).
Dopo essere stati
ubriacati di feedback tutta la sera, il giorno dopo ci siamo svegliati
rintronati come poche volte nella nostra vita. Con le orecchie ovattate e le
tempie pulsanti, i miei amici non si sentivano tanto carichi per il consueto
concerto del sabato a mezzogiorno sul dehors del bar-ristorante La
Croix-Blanche. Ovviamente, andarci è comunque d’obbligo: l’atmosfera afosa di
sbornia collettiva è iconica (c’è sempre almeno un punk che si immerge interamente
nella fontana della piazza), e ordinare un pastis per colazione prima di andare
a pranzare e fare la siesta è il modo migliore per essere di nuovo freschi e pronti
a ballare per le 18. Va detto che, però, la musica non è per forza sempre in
primo piano. Io, in compenso, ero l’unico che aveva studiato bene il gruppo che
suonava quell’anno alle 12, e sapevo che eravamo tutti “in for a treat”.
Trotski Nautique
quel giorno ci hanno regalato, con i loro strumenti minimali, un momento di
ilarità generale che resterà per anni nei nostri personali annali degli istanti
gioiosi. Per un’ora e mezza circa abbiamo bevuto, riso, riflettuto, cantato e
sognato con una tale spensieratezza che ci siamo persino dimenticati della lieve
perdita dell’udito subìta giusto una dozzina di ore prima.
***
Quando ho scoperto
che Trotski Nautique suonavano a Parigi il giovedì sera ho saltato di gioia e
ho bloccato la serata. Arrivo presto alla Rue des Petites Ecuries, quest’angolo
della Parigi da bere a basso prezzo, e divoro coi miei compari una deliziosa
piadina con agnello grigliato dai kurdi di Urfa Durum (mi diverto anche a
raccontare di come al liceo a Firenze ci fosse gente che metteva la maglietta
del PKK come se fosse quella dei Ramones). Per le 21 entriamo al Tony
Collectif, la “venue” della serata, anzi, del “galà” secondo le parole di
Trotski Nautique. L’atmosfera è da “dive bar” al cubo: stretto stretto, pieno
zeppo di gente, muri in lamiera e si scorge il palco dietro a una tenda rossa e
a un omino che riscuote l’offerta libera.
Qua bisogna già
fare un inciso: il fatto che la serata sia a offerta libera è una cosa
esageratamente ironica. Nemmeno sei giorni prima Trotski Nautique hanno fatto
uscire la loro ultima fatica: Le Meilleur de à Bas. Il titolo si legge come “Le
Meilleur de Abba”, e in copertina c’è un’illustrazione di David Snug che
raffigura il quartetto svedese in una posa da Greatest Hits completamente “cursata”.
I titoli delle canzoni cominciano tutti con l’espressione “à bas”, “abbasso”,
seguite dall’oggetto dello scorno in questione. Il singolo che annuncia l’album
è A Bas le Prix Libre, in cui se la prendono con l’offerta libera vista come
simbolo delle perversioni del mercato libero nella società delle
diseguaglianze. Allungo i miei pochi euro di ingresso con un sorriso sornione
all’omino della tenda rossa, che mi guarda male e bofonchia qualcosa. Gli
rispondo che questi pochi euro sarebbero già il prezzo di diversi (pochi) CD.
Trotski Nautique,
fino a qualche minuto fa al bancone del bar, montano sul palco e, mentre una
registrazione di “Y a une Bonne Ambiance” scalda il pubblico, sistemano il
materiale. Alda Lamieva osserva la sua tastierina di cui spesse volte nelle
canzoni vanta il prezzo competitivo. David Snug, dal canto suo, comincia a
studiare un raccoglitore di pagine plastificate senza capo né coda mentre
programma la drum machine e verifica che il suo tablet proietti bene le
immagini sul telo. Per la prima volta vedo le visual del gruppo: da
un’applicazione creata ad hoc, il cantante può cliccare su un numero associato
a un personaggio (disegnato dallo stesso Snug), il che attiva un metronomo e poi
il videoclip coordinato alla musica. L’applicazione si chiama “Trotskinoscope”,
una rielaborazione del “trombinoscope”, registro di classe della scuola francese,
in cui accanto a ogni nome c’è la fototessera dello studente. Quando Trotski
Nautique cominciano a suonare non ce n’è più per nessuno, e veniamo travolti da
un fiume in piena di musica strabiliante e di trovate esilaranti che coprono
tutto lo spettro dell’ironia.
Cercare di
ricoprire tutto in qualche paragrafo, oltre che materialmente impossibile,
sarebbe sbagliato perché questo gruppo merita di essere visto dal vivo senza troppi
spoiler. So che, scrivendo in italiano, mi rivolgo a un pubblico che non per
forza parla il francese, ed è anche qui che vi invito ad ascoltare Trotski
Nautique perché, con la loro dizione perfetta e un uso delle espressioni
gergali (l’”argot”) sensato ma non troppo spinto, sono il gruppo perfetto per
imparare la lingua. In ogni caso, qualche gag memorabile merita di essere
menzionata, e visto che lo stile musicale del gruppo è così asciutto, mi sono
detto che potrei farlo tramite la più asciutta delle figure retoriche, una
buona vecchia enumerazione. Cominciamo:
- Le battute sui “provinciaux”,
termine che designa la gente che non vive a Parigi. Nessuno ha più il coraggio
di usare questa parola e c’è chi la trova offensiva, io la trovo divertentissima.
Ogni tanto a Trotski Nautique capita di suonare per i provinciaux “ma siccome
non hanno un livello culturale molto alto (la sera si ubriacano e basta) non gliene
frega nulla dei testi, vogliono solo il kick”, anzi il Gros Kick;
- Di riflesso, i racconti della
gioventù in provincia: i rave party nei campi in cui ai conigli (i Lapins Magiques)
capitava di sgranocchiare resti di LSD, o ancora Amortisseurs, “canzone
sulle automobili che in realtà è sulla vita”, suonata mentre è proiettato un
video di due persone non identificabili che sgommano con una Renault 106 in un
campo (secondo il loro racconto poco credibile sarebbe David Snug da giovane
insieme a Orelsan, rapper riempi-stadi anche lui di Caen);
- Urlare: “Solo!” prima di ogni
assolo;
- La gente del pubblico che urla “A
bas!” contro quello che ha deciso di osteggiare in quel momento;
- Qualcuno dal pubblico ha avuto la
malaugurata idea di dire “french touch” e allora lì parte la bambola. David
Snug dirà “siamo un gruppo french touch” circa quindici volte (a Tournan aveva
eseguito la stessa battuta sbiascicando “Aplacetoburystrangers” in
continuazione);
- Prima di suonare Déterminisme Social,
inquietante canzone house music sul futuro già segnato dei figli di operai, Trotski
Nautique raccontano di come hanno imparato a “programmare la drum machine come
i Daft Punk grazie a un tutorial Youtube… In realtà basta mettere un hi-hat tra
kick e snare”;
- Yaunebonneambiancemercilorganisation…
- L’aneddoto intramontabile di quando
hanno provato a fare “la scuola per diventare rockstar a Manchester” ma il
vicino di sopra li deconcentrava: era Peter Hook che faceva casino, e da lì
nasce New Ordure, con l’intro di Blue Monday (“Non ho nemmeno imparato
una parola di inglese: How does it feel, to wiwi nununuuu”);
- Sample di vecchi discorsi di
dirigenti del Partito Socialista Francese che fomentano alcuni rari eletti
nella sala;
- Le cover, ovviamente in lingua
francese: Appel de Nuit di Kavinsky ("french touch") è toccante ma Ça Sent le Mennen
dei Nirvana, con un raro volo pindarico di flauto stonato, ha una solennità
“dank” inarrivabile, specie perché in sottofondo sfilano immagini dei Guns ‘n’
Roses (“Vi piace l’hard rock, no?” “A bas!”);
- Costanti riferimenti all’essere
disoccupati e vivere di sussidi: “Questa è una canzone sul sabato sera… Ma oggi
non è sabato sera… Cos’è, venerdì? Ah, no giovedì! A noi disoccupati non serve
saperlo, visto?”;
- Di riflesso, vantarsi di avere strumenti poco costosi e
insultare i puristi che si comprano un Moog invece di scaricarsi il VST (quella
Bourgeoisie Analogique di cui fanno parte, pensa un po’, anche i Daft
Punk da Versailles);
- Annunciare con un anticipo
esagerato la fine del concerto: “Grazie a tutti, abbiamo ancora nove canzoni”;
- Una caterva di giochi di parole
intraducibili, di cui il mio preferito è in A Bas l’Humanité (la prima
versione del 2019): “È stato decretato che d’ora in avanti chi usa
l’espressione ‘pratico-pratique’ sarà condannato a chiamarsi
‘Patrico-Patrick’”. Potrei dire che è una battuta “franco-francese” ma poi
sarei obbligato a chiamarmi “Franco-Francesco”;
- Una chiusura potentissima a base
di cinema anni ’80: prima Marty McFly che, grazie all’esistenza della
morale cristiana, non si fotte sua madre e con lei lo spazio-tempo, poi la
chiusa su Terminator is Bacque, una hit ormai decennale ornata di un
assolo doloroso di drum-machine “schitarrata” e flauto acuto.
***
Insomma, che il
concerto di Trotski Nautique faccia tanto, tanto ridere l’avete sicuramente
capito. Dietro a tutta quest’irriverenza, però, si celano spesso e volentieri dei
messaggi politici profondi (a volte no, a volte sono solo battute, ed è anche questo
il bello). Il duo di trapiantati dalla provincia normanna a Parigi ha una forte
indole politica, ed il suo programma è quello di esprimere questa indole senza
mai prendersi sul serio. A un certo punto, dopo aver suonato L’Insurrection qui Vient Pas, canzone sui giovani di sinistra dalle velleità
rivoluzionarie che alla fine si ritirano a una vita suburbana banale, diranno
pure “Questa era una canzone politica” con un sorrisetto malizioso.
Trotski Nautique non
sono solamente lucidi nel puntare il dito su tematiche sociali spesso ignorate,
ma sono anche bravi a non mostrare platealmente che lo stanno facendo. Sono
numerosi gli sketch sulla gente di provincia, che si isola nel suo piccolo
benessere una volta comprata una casa e una macchina (commovente la ballata
anti-automobilistica Petit Animal, che commemora una bestiola
irriconoscibile schiacciata sull’asfalto). Ascoltandoli, e ridendone, non posso
non vederci un’onesta descrizione di quell’individualismo che dilaga nelle zone
di Francia più remote (lavorando nel settore delle pale eoliche, purtroppo, lo
constato ogni giorno). La rivendicazione di usare Audacity e i VST craccati
cela dal canto suo una triste constatazione sulle diseguaglianze che permeano il campo della
musica, e propongono strumenti per rovesciare la dominazione, come per esempio i
software open source. E poi, ovviamente, il fregio costante dell’essere
disoccupati per scelta porta in sé una critica del lavoro decisamente
sovversiva.
Nella mia
adolescenza ho visto suonare, mio malgrado, molte band politiche. In comune
avevano tutte due cose: parlare in continuazione di cose che non conoscono e
non proporre mai una riflessione, ma semplicemente una visione propinata come quella
giusta. Trotski Nautique non raccontano del diritto all’autodeterminazione di
popoli lontani, ma dell’alienazione che regna nei territori in cui sono
cresciuti; e non diranno mai esplicitamente e pedissequamente, nelle loro
canzoni, che il sistema è malato (il sistema, ad esempio, del credito
immobiliare, della concentrazione del consumo su grandi zone commerciali, della
dipendenza dall’automobile…). In compenso, continueranno a chiamare i
provinciali “provinciali”, sottintendendo anche la cruda verità che in molti la
scelgono, la vita che fanno. Questo è solo un esempio (che mi parla da vicino)
delle riflessioni profonde che traggo dalla pur divertentissima musica di Trotski
Nautique. E giovedì sera, al Tony Collectif, mi stupisco ancora una volta di
quanto del semplice ed esilarante “stage banter” possa aggiungere ancora più
livelli di interpretazione alle canzoni fintamente non politiche del gruppo.
***
Dopo il concerto vado
a scambiare due parole con loro. David Snug, che è un mattatore sul palco, è
diventato decisamente più schivo mentre Alda Lamieva, che durante lo show
sembra l’unica voce della ragione capace di riportare il suo collega a una
parvenza di serietà, è al contrario molto espansiva e chiacchiera con più
persone alla volta. Lei mi parla in un italiano perfetto, mi racconta di aver
vissuto a Cagliari e a Trieste e fa un gran sorriso quando le dico che voglio
scrivere di loro su un blog in lingua italiana. Lui, quando gli dico che voglio
comprare il suo fumetto, mi dice: “No lascia stare è troppo caro”, poi si
intasca i miei 15€ mugugnando un “Merci” quasi imbarazzato con gli occhi bassi.
Il fumetto si
chiama Dépôt de Bilan de Compétences e parla delle disavventure dell’autore nel
mondo del lavoro, che l’ha sfruttato e reso infelice per una buona ventina
d’anni. I disegni catturano l’occhio e stupiscono costantemente; l’umorismo è
di un livello altissimo, tra colpi di spirito inusitati e gag ricorrenti
brillanti (i datori di lavoro che ripetono in continuazione “Chi ti ha detto di
metterti a sedere?”); il messaggio di fondo, rafforzato da un breve trattato
sulla costruzione sociale e ideologica dell’impiego salariato, fa riflettere. Ritrovo
su carta la qualità elevatissima e umile di quello che ho visto e sentito al
concerto di Trotski Nautique.
La linea 4 della
metro oggi è guasta e quindi prendo l’autobus. Ci mette molto più del previsto
ad arrivare e ci vuole un’ora abbondante per fare un tragitto che di solito si
farebbe in mezz’ora. Ma non me ne curo: mi divoro tutto il fumetto di David
Snug alla fermata, poi sull’autobus e poi a casa. È ora di andare a letto ma
sono un po’ su di giri: tutte le melodie, i disegni, le battute, le parole, mi
hanno messo addosso un’euforia ancora più forte di quella di quest’estate a
Tournan-en-Brie.
Alla fine mi addormento e il venerdì mattina, quando suona la sveglia, ho molta meno voglia di lavorare del solito.
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