Ho passato la settimana scorsa sballottolato da tutte le parti di Francia.
Dal mio quartier generale, a Parigi e dintorni Nord-Ovest, sono finito a
guidare la macchina nella periferia di Montpellier dopo ore insopportabili di
treno Ouigo (che sarebbe il low-cost). In questa operosa parte di mondo, dentro
a un edificio cubico in zona industriale, partivano ad ogni momento telefonate
e mail verso i comuni rurali più isolati del paese. Al tramonto, guidando tra
capannoni e terreni vuoti pieni di erba secca, è partita Jumpin’ Jack Flash dei
Rolling Stones su FIP (la fu France Inter Paris). Coi finestrini abbassati e la
sigaretta in bocca, mi sono sentito come a Los Angeles.
Il mare non l’ho nemmeno visto: il mercoledì ero di nuovo su un treno per Tolosa. Dal finestrino vedevo vigne (di Cahors forse?) e cittadine fortificate. Béziers sembrava bellissima, una versione ocra di Albi. Il mio collega sudista mi ha detto che a Béziers non bisogna proprio andarci. I sudisti sanno essere davvero laconici in questo paese. Il Sud-Ovest in compenso è più accogliente del Sud “e basta”, e la serata a bere pastis e farmi trattare da parigino, con tutti gli insulti bonari del caso, mi rinfranca. Il cielo delle 7:40 del mattino, dietro ai muri di mattoni, mi ricorda perché la chiamano “la ville rose”.
Ovviamente, a Tolosa si parla di aeronautica tutto il giorno, perché gli
stereotipi in questa città sono sempre veri. La sera del giovedì il mio secondo
Ouigo attraversa città che non ho mai visitato: Montauban, Agen, Bordeaux,
Angoulême. E dire che ho vissuto per due anni a due passi da qui, a Poitiers. Sono
arrivato alla stazione di Montparnasse stremato: 4 ore e 40 di treno senza
vendita di cibo e bevande a bordo, ma sono riuscito a sopportare la situazione
con quell’abnegazione strafottente che è sport nazionale. A quell’ora è aperto
solo McDonald’s e perciò ordino non una ma due bibite e le bevo sotto gli occhi
indifferenti di una fauna variegata di adolescenti e tifosi di rugby.
Il venerdì sera, dopo aver raccolto i frutti del mio lavoro e aver passato
la giornata a fissare appuntamenti in Champagne, Franca Contea, Picardia e
Lorena per le settimane prossime, la fatica si fa sentire. Nel mio appartamento
ad Asnières-sur-Seine, che non è veramente banlieue perché ci arriva la metro
(quindi è Parigi), questo venerdì sera alle 23 si dorme.
A quel punto mi metto a fare un bilancio della mia settimana, un po’
estrema a posteriori. Mi rinfranca pensare alla prossima, più leggera. E poi
una rivelazione: per tutta la settimana non mi sono mai sentito uno straniero.
E penso alla parola “trapiantato”, che tutto sommato mi si addice bene.
***
Nel disco che preannuncia l’esplosione dei Parquet Courts, Human
Performance, c’è uno dei miei versi preferiti di sempre:
“Feels so effortless to be a stranger, but
feeling foreign’s such a lonely habit” (Berlin Got Blurry)
Mi sono sentito così innumerevoli volte e oramai, persa questa sensazione,
non so più come sentirmi nella mia vita francese, quotidiana e non. Non essere
uno “stranger” richiede qualche piccolo sforzo: anche nella grande indifferenza
metropolitana parigina non posso più permettermi di essere un oggetto senza
meta. Devo sbattermi per trovarmi le mie nicchie, gli angoli di benessere che
mi si addicono e che mi fanno fiorire, altrimenti andrei alla deriva e
scomparirei in una tristezza costante (ci sono già andato vicino). Al contempo
sentirsi come un organo trapiantato con successo dentro al corpo di un
estraneo è una sensazione spiazzante. Ovviamente sapremo sempre, sia io che il corpo che mi accoglie, di
non essere nati insieme. Nessuno dei due, però, proverà mai un rigetto, ed è
questa la consapevolezza di non sentirmi più “foreign”.
(In barba a quelli che dicono che l’inglese è semplicistico, nella lingua
di Dante le due parole si traducono bene solo in “straniero”.)
***
In questi ultimi tempi, marcati da questa nuova coscienza sulla mia
identità di straniero non più straniero, ho ascoltato gli Stereo Total ogni
giorno, e quando ho deciso di aprire un blog mi sono detto che non potevo non
omaggiarli. Ho deciso di aggiungere giusto la “e” finale per italianizzare il
tutto (e il logo che ho fatto su Powerpoint ha quel retrogusto “dank”).
Per chi non li conoscesse, gli Stereo Total sono nati a Berlino a inizio
anni ’90 (nella biografia del loro sito dicono che era il ’93, e qualche
paragrafo dopo che era il ’92). La forza motrice di questo gruppo è una
trapiantata anche lei: Françoise Cactus, la cantante francese che fonda la band
insieme al dadaista tedesco Brezel Göring. Oltre a portare dei nomi d’arte di
tutto rispetto, i due pubblicheranno insieme per più di 25 anni una discreta
quantità di dischi. Il materiale è variegato e non sempre valido ad essere
onesti, un mischione eclettico e svergognatamente low-budget di synth-pop
kraftwerkiano e revival punk-rock ramonesco, costellato di citazionismo allo
yé-yé francese e alle declinazioni internazionali più esotiche della new-wave
(gruppi come i giapponesi Plastics o le svizzere Kleenex). La musica degli
Stereo Total è il loro ethos e viceversa. Qualsiasi canzone che se ne ascolti è
una celebrazione della cultura della ribellione adolescenziale e allo stesso
tempo il loro multilinguismo (e scambismo linguistico, visto che Brezel canterà
spesso in francese e Cactus in tedesco) ostenta la ricchezza delle connessioni
europee.
Un piccolo appunto: ho realizzato abbastanza di recente quanto è importante
nella mia storia il fatto di essere figlio di genitori che si sono conosciuti grazie all'Erasmus. Secondo la Commissione
Europea dovremmo essere più di un milione e io sono sicuramente della prima
generazione, visto che mio padre ha aderito al primissimo anno del programma
nell’87, e mia madre nell’88 (nessuno dei miei genitori è francese, ma mio
padre quell’anno posò già una prima impronta sulla città di Parigi).
Evidentemente, le connessioni europee le ho nel DNA.
Di recente noto in me un pattern particolare: dopo anni passati a detestare la maggior parte
della musica cantata in lingua francese ho cominciato ad avere delle
fissazioni con artisti dai percorsi transnazionali variegati, tipo Lio che è
nata in Portogallo, cresciuta in Belgio ed esplosa in Francia. Non mi
soffermerò sulla mia formazione musicale ma vi assicuro che non ha nessun senso
che io sia ossessionato da Lio.
Per tornare agli Stereo Total e restare sulla tematica della connessioni europee, il disco che mi sento in dovere di consigliarvi è per forza Paris<>Berlin del
2007. La maturità di metà carriera lo rende un album sorprendentemente coeso, e
chiaro fin dal titolo nella sua dichiarazione di intenti. Come spesso accade
nel loro repertorio, ci sono tantissime canzoni sul sesso, tema trasversale per
eccellenza ma che presenta anche lui le sue piccole variazioni internazionali: le
suggestioni post-sessantottine della francesissima Miss Rébellion des Hormones;
le avventure dello Stricherjunge, ovvero il ragazzo prostituta, che hanno un retrogusto
di leggende urbane del blocco Est; le scene paranormali e perturbanti di una Lolita Fantôme che infesta i sogni degli uomini soli con le sembianze di Brigitte Bardot; i
sentimenti complessati di una libido mogia raccontati in modo così tedesco in Komplex mit dem Sex. Il microcosmo Stereo Total va anche oltre: ci sono canzoni dal
retrogusto marxista come l’omaggio a Patty Hearst, l’attrice
americana che dopo essere stata rapita da un gruppo di estrema sinistra aveva imbracciato
lei stessa il fucile, ma c’è spazio anche per riferimenti alla cultura di
massa, rappresentata da feticci-sfottò come il chewing-gum e la chirurgia plastica
o da oggetti di culto da omaggiare come Gainsbourg o le nostre personali hall
of fame musicali (anche se der Hölle der Musik in realtà sarebbe “l’inferno
della musica”, ma si sa che le vere rockstar non vanno in paradiso).
Il ritornello della closing track (cantata in quattro lingue, compreso l'italiano!) me lo prendo in prestito per rispondere
a una domanda che non ho ancora risolto: che musica mi piace e di che musica
voglio parlare dentro a questo blog?
“Das ist Funk, das ist Rock'n'roll, das
ist moderne Musik
Das ist Punk, das ist Rock'n'roll, das ist moderne Musik“ (Moderne Musik)
Perché tutto in Paris<>Berlin urla avanguardia: non è importante il genere, è importante la modernità. Ma è anche quell’avanguardia che fa la rivoluzionaria un po’ per finta, un po’ per ridere, un po’ come quella della mia adolescenza borghese passata ogni sabato sera in uno squat diverso. Alla fine tanto le pose radicali quanto la destrezza nello spaziare tra le lingue e fare riferimenti esoterici alla cultura dei paesi che abbiamo interiorizzato sono semplicemente cose che, evidentemente, alla Cactus e a Brezel fanno sentire liberi, divertire, stare bene. Ed è così che decido di accogliere anch'io la mia nuova identità di trapiantato.
La musica degli Stereo Total, lo dice anche Scaruffi, nella sua essenza è party music (infatti dopo Paris<>Berlin vi invito a fiondarvi sulle compile). Il Pierone nazionale lascia questa affermazione nell'etere sottintendendo che il termine "party" sia offensivo ("[they are] merely a party band"), ma si sbaglia. Non lo è, anzi, è nobilitante: essere un trapiantato realizzato e prosperare nella leggerezza di scambi culturali costanti e ormai non più ostici a volte è proprio una grande festa. È questa festa che vorrei provare a trasmettervi nella mia corrispondenza dall'estero sul blog di Stereo TotalE. E quella famosa frase dei Parquet Courts potrebbe riproporsi così:
“Feels so effortless to be transplanted, that feeling
foreign’s such a funny habit” (Paris Got Blurry???)
***
In Dude Yr So Crazy!!, Le Tigre prendevano in giro un fantomatico interlocutore
hipster che smucinava espressioni da persona che “ne sa”, in uno dei testi più
irriverenti degli anni ’90 (amo il self-titled di Le Tigre):
“So
defeated, Thinks it's funny, Film Festival, Retro porn
Shabby Chic, Bicoastal, Soundtrack, Carnivore
Transgressive, Gone fishin', Shock value, Good contract
Big collection, Independent, Devil's advocate, Protegé
Hawaiian shirt, Buddy buddy, Just chillin', Crystal meth
Big budget, Dirty hair, Anti-PC, Dive bar
Universal, Hilton safari, Euro connection […]”
Qui di solito interrompo bruscamente il disco.
Cara Kathleen Hanna, a sto giro purtroppo hai toppato: io “euro connection” lo dico e me lo rivendico. Se proprio non ti piace andrò a dire a giro che la punk femminista più famosa di sempre ha insultato la mia identità. Magari qualcuno potrebbe addirittura pensare che è “basato”.
Nessun commento:
Posta un commento