domenica 18 agosto 2024

Depths of Bandcamp (Episodio 0) - Introduzione

Nel mezzo di un’estate sorprendentemente densa in concerti, festival e abbuffate varie di musica live, scopro in me un sentimento quasi inedito: non ho voglia di scriverne a riguardo, almeno non adesso. Ho cercato di darmi tante spiegazioni per tutto ciò: forse è perché ultimamente non ho avuto una vita propriamente routiniera, forse è perché mi sono spostato tanto, passando molto meno tempo del solito da solo. Ma non serve a niente mentire: queste sono solo ragioni laterali.

La verità è che quello che mi ha dissuaso dallo scrivere di concerti è stata la mancanza di urgenza. Tra luglio ed agosto ho scoperto, o ammesso a me stesso, che il motore della mia scrittura in realtà è sempre stata l’urgenza: quella di condividere le riflessioni, opinioni, sensazioni e soprese che la musica dal vivo mi trasmette, e farlo il più velocemente possibile affinché tutte le cose che ho da dire restino fresche e veritiere quando le pubblico. È per questo che quando scrivo dei live report a sé stanti (monografici, amo chiamarli) faccio di tutto perché escano in un massimo di dieci giorni dopo la fine del concerto, e che il Life Lately mensile deve necessariamente uscire nella prima metà del mese successivo, altrimenti mi detesto con tutto me stesso. Sembrano regole autoimposte ma in realtà è una forza superiore ad avermele suggerite: per l’appunto, la forza dell’urgenza.

In questo periodo al contempo intenso e rilassato faccio perciò definitivamente pace col fatto che non di tutti i concerti devo parlare pubblicamente, o rapidamente. Che urgenza c’è, del resto, di dire che le Alvvays per me sono il miglior gruppo indie rock venato di shoegaze in circolazione? Basta essere un po’ informati ed avere buon gusto per arrivarci (e al loro concerto di luglio c’era essenzialmente tutta la gente che ne capisce di indie rock a Parigi). Continuiamo: è urgente che io racconti per filo e per segno quello che mi è piaciuto o meno dei due o tre festival a cui sono andato quest’estate? Certo che no: piuttosto che dannarmi a scrivere in tempi da record paginate dedicate ad ognuna delle rassegne, tanto vale tirare le somme a settembre quando la stagione festivaliera sarà finita (aspettatevi un’analisi comparativa bella profonda e almeno una trentina di nuovi artisti da scoprire). Ancora, che urgenza ho di dire che il concerto degli LCD Soundsystem a Lione mi ha fanno vibrare, ballare e commuovere? A parte che la loro potenza dal vivo è un fatto assodato da almeno due decenni, ma poi sono un fottuto hipster, grazie al cazzo che mi piacciono gli LCD Soundsystem!

Il fatto che non senta un bisogno pressante di parlare di concerti non vuol dire, però, che Stereo Totale sia andato in ferie. Anzi: è l’occasione giusta per ricentrarmi su me stesso e domandarmi di cos’altro io senta l’urgenza di parlare e la risposta è semplice: di dischi che trovo geniali e che non conosce un cane di nessuno. La quantità di musica spettacolare e potenzialmente rivoluzionaria che c’è in giro e che viene ignorata da tutti i riflettori possibili è spaventosamente elevata, roba da non dormirci la notte. Quando si scova la pepita, condividerla il più possibile è quasi un dovere morale, quello di provare a rendere a Cesare quel che è di Cesare, e pur essendo molto remota ci sarà sempre la possibilità che l’album in questione riesca a circolare al punto di diventare, meritatamente, un cult a posteriori tipo i Neutral Milk Hotel. In tal caso uno potrebbe fregiarsi di aver avuto l’occhio lungo, e se non riesce ci avrà almeno provato e basterà questo per avere la coscienza a posto.

Esente, almeno per questi caldi mesi, dalla fretta di scrivere lunghe descrizioni delle venue, delle performance dei musicisti, delle reazioni del pubblico, delle mie sensazioni davanti al palco e di altre cose così effimere, mi ritrovo a pensare ai dischi: oggetti solidi, statici, inamovibili. Sondo la mia mente, dove c’è una stanza in cui album sconosciuti al pubblico generale stanno sbattendo i pugni sulla porta urlando: “Facci uscire!”. Me li immagino, tutti lì, tutti diversi eppure tutti ingrugniti in un assetto da sommossa popolare. Che cos’hanno in comune? Una sola parola mi risuona nella testa: Bandcamp.

Non è una sorpresa per nessuno che la musica più oscura dell’era digitale finisca sugli scaffali del sito, o negozio di dischi virtuale che dir si voglia, più accessibile del mondo. È profondo come la Fossa delle Marianne, non necessariamente intuitivo da navigare, eppure strapieno di tesori nascosti, che solo i più temerari sanno trovare. Spesso e volentieri i forzieri più preziosi non vengono nemmeno scoperti durante ricerche che nascono sul sito stesso ma, alla fine, riemergono sempre lì. E quando la chiave gira nella serratura, le mandate schioccano e finalmente il luccichio dell’oro colpisce i nostri occhi, ci ritroviamo ogni volta a ringraziare la vita di averci dato Bandcamp, e a sognare tesori ancora più grandi nascosti nelle sue profondità. È da questa sensazione di gratitudine, sopravvenuta dopo vari ritrovamenti, fortuiti o perigliosi che siano stati, che nasce la mia voglia di creare una nuova, ennesima rubrica su Stereo Totale. Benvenuti a Depths of Bandcamp.

Prima di pubblicare un primo episodio dedicato a un disco a cui tengo tantissimo e che mi riporta a un momento importante della mia vita, un paio di precisioni, che sennò cosa li faccio a fare i prolegomeni dell’episodio 0. Innanzitutto, voglio specificare che quando parlo di un album e mi dilungo su di esso non è perché io voglia “recensirlo” ma è perché mi piace, mi interpella, mi influenza. Le mie non sono recensioni: i dischi di cui parlo già so di amarli e consiglio a prescindere a tutti di ascoltarli. Piuttosto, l’urgenza che sento è quella di scrivere qualcosa che porti i miei lettori ad andare oltre il semplice ascoltare un consiglio: il vedere quel link Bandcamp, che forse senza di me sarebbe stato irraggiungibile, come qualcosa che possa sconvolgerli come ha sconvolto me. E la mia personale maniera di fare ciò, ancora una volta, è quella di raccontare la mia personale storia e relazione con gli album in questione, il che implica che inevitabilmente mi ritroverò a rievocare parte delle mie esperienze personali perché il modo in cui li ho conosciuti ha spesso a che fare col mio vissuto, e il fatto che mi abbiano marcato idem. Niente di nuovo.

La seconda cosa che voglio anticiparvi è che, per distinguere Depths of Bandcamp dai racconti che mi può capitare di fare su dischi, magari più blasonati, che mi hanno un po’ cambiato la vita (l’ho già fatto con Paris<>Berlin degli Stereo Totale, Il Sorprendente Album d’Esordio dei Cani…), in questa nuova rubrica ci sarà una lista di cinque criteri che serviranno a descrivere meglio gli album in questione. Avete presente la classificazione degli item nei videogiochi, che non per forza serve a dire se siano potenti o meno ma in che situazioni sia meglio usarli? Tipo: Bastone del Potere: difesa tre stelle, ravvicinato quattro, long-range due, mana cinque, resistenza due. Stesso principio. Le statistiche con cui mi divertirò a classificare i dischi, che rispondono ciascuna a tutta una serie di domande, sono dunque le seguenti:

1. Inculatezza. Quanto è nascosto l’album in questione? Quanto è difficilmente reperibile? Quanto era possibile che lo scopriste senza il mio intervento?

2. Innovatività. Quanto è originale il sound di questo album? Quanto è inedita la sua proposta artistica? Il disco ha quello che ci vuole per rivoluzionare un genere? 

3. Esoticità. Quanto è improbabile l’esistenza di questo album? Quant’è rocambolesco il contesto che l’ha visto nascere? Quante informazioni si possono avere a riguardo? 

4. Finezza. Quanto investimento c’è stato nel comporre, arrangiare e produrre questo album? Quanto è curato il suo suono? È un demaccio da cantina o un prodotto raffinato?

5. Aderenza. Quanta replay value ha l’album? Quanto è accessibile e assuefacente il suo suono? È un fuoco di paglia o un compagno per la vita?

Penso di aver detto tutto. Ci risentiamo tra pochissimo